"Non basta gridare contro le tenebre, bisogna accendere una luce". (San Nilo)
Il nostro territorio, bagnato dal mitico mare Jonio, dalle profonde acque color zaffiro, protetto tutto intorno dalle selvose montagne della Grande Sila che, degradando in dolci colline coperte di castagni, querci e olivi, si spandono in una larga campagna ubertosa, ricca di alberi di ogni frutto, maggiormente agrumi allineati come soldati e dalle chiome bronzine, e di boschi di pacifici ulivi secolari, dai tronchi maestosi e attorcigliati su cui nascono robusti rami sempre pieni di foglie argentee e di grappoli di olive dai cangianti colori, è di rara e paradisiaca bellezza.
Sul finire di questa ferace pianura – verso est – a mezza quota, su un pianoro, è incastonata Rossano che, superba, con le sue rubre pareti rocciose alte decine di metri, è una naturale e inespugnabile fortezza a cui si accedeva da sette porte un tempo ben munite.
Alla sommità dei dirupi, a strapiombo sulle sottostanti fresche valli, v’è una ininterrotta e suggestiva teoria di case, vera merlatura della fortificazione, che nasconde alla vista:
Prima degli sciagurati editti di Giuseppe Bonaparte, nel periodo in cui fu Re di Napoli (1806-8), prima delle infauste leggi eversive del 1861/1862 e prima dei numerosi, orribili e disastrosi terremoti a molte chiese erano annessi conventi di frati e di suore che alla soppressione subirono razzie e ruberie di ogni genere. Così anche per monasteri e castelli foranei: in special modo, all’inizio dell’800, l’abbazia del Patire, abrogata dal Bonaparte, subì saccheggi e spoliazioni violenti: il prezioso altare fu smontato e ricostruito nella chiesa di Schiavonea e il fonte battesimale oggetto di baratto da parte di Compagna Giuseppe con un banchiere americano che l’ha poi ceduto al Museo di New York, mentre la ricca biblioteca andò dispersa.
Il più prezioso tra i monumenti superstiti è il Tempietto di San Marco, gioiello simbolo dell’arte bizantina, risalente al IX/X secolo.
V’è, poi, la stupenda chiesa della Panaghia e quella monumentale del Patirion con i suoi splendidi mosaici e con le vestigia della famosa abbazia.
Un’attenzione particolare, per le sue dimensioni e il suo splendore, merita la Basilica-Cattedrale con l’annesso complesso del Palazzo Arcivescovile della Curia e del Museo diocesano.
Sulla porta principale, in una nicchia, v’è una pregevole scultura in marmo bianco dell’Assunta, a cui nessuno fa caso, opera (1832) dello scultore napoletano Angelo Viva (allievo del Sammartino autore del “Cristo velato”).
Questo mirabile monumento porta, evidenti, i segni architettonici delle epoche in cui gli Arcivescovi vi hanno lasciato traccia. Sulla facciata, dalle composte linee barocche, v’è la dedica alla Madonna protettrice della città: “Per Te Virgo Maria Achiropita Civitas Decoratur”.
L’interno del tempio, costituito di cinque navate, è di austera eleganza, interamente rivestito di pregiati marmi policromi fino alle arcate, sopra le quali vi sono, come nelle tre absidi, luminose e pregevoli pitture che narrano la fondazione della chiesa. Il soffitto è a cassettoni, di ornata fattura e con figure sacre in bassorilievo, il tutto impreziosito da rilucente oro zecchino. Barocchi sono i molti altari marmorei a mosaico, il più ricco dei quali è quello che custodisce l’icona bizantineggiante dell’Achiropita, al centro della navata principale, di fronte al quale v’è un incantevole pulpito in marmo sorretto da un’erma con busto d’angelo.
Nel palazzo arcivescovile, tra le tante belle sale, fa spicco il “Salone degli Stemmi” e la cappella Palatina. Meravigliosa la raccolta di quadri esposti. Nel museo, oltre all’unicum, eccelso, del Codex Purpureus Rossanensis e agli altri preziosi oggetti e paramenti che attestano il fasto di una arcidiocesi storica e prestigiosa, è custodito uno stupefacente busto argenteo della Madonna Achiropita, mirabile scultura dell’arte orafa napoletana del ’700, che viene portata in processione il 15 di agosto.
A mano sinistra della facciata del Duomo si staglia nel cielo il massiccio campanile a cupola maiolicata. La cella campanaria- è questa la prima pubblica e forte denuncia che faccio col presente documento- presenta su ciascuno dei quattro lati monofore ove sono sistemate le quattro più grandi campane delle sei che costituiscono un concerto maggiore (con accordo di prima, terza, quinta e ottava).
Le campane da molti secoli sono l’invito melodico della Cristianità diffondendo il loro suono il più lontano possibile, in città e oltre.
Questa “Voce della Cattedrale” fino a qualche mese addietro chiamava a raccolta i fedeli, annunciava i riti religiosi lieti e tristi e convocava il capitolo della cattedrale (che forse non si riunisce più).
I cittadini tutti erano attenti a questo “richiamo di fede” e sapevano interpretare per quali riti era l’appello. Ora sono ammutolite (come anche tutte le altre campane della città, ognuna con un suo distinto e specifico suono, alcune delle quali sostituite da registrazioni su disco).
È la volgarità ignorante del tempo presente!
Ne vengono suonate un paio, le più piccole, senza alcuna diatonia che, percosse elettricamente e monotonamente, diffondono un suono fastidioso.
L’ultima volta che la campana grande distese il suo lento e grave suono in chiave di basso, è stato quando ha “suonato a morto” in occasione, forse, della “morte della città”. Ora non si sente più perché anche Dio non sta tanto bene, malato di materialismo acuto: basta fare un salto in Chiesa per constatarne la desolazione.
La seconda, specifica denuncia, ancora più grave e allarmante, riguarda la condizione di estremo pericolo di crollo in cui versa l’edificio architettonico più puro, antico e pregiato della città, monumento nazionale, la Chiesa di San Marco. Circa tre anni addietro, un nubifragio ha fatto crollare il muro di cinta del Tempio, travolgendo il cancello d’ingresso e il piccolo campanile a vela, la cui campana, la più antica e bella perché istoriata, è andata in frantumi senza che chi di dovere si preoccupasse di raccoglierne i pezzi per una ricomposizione e rifusione.
Al posto del muro crollato sono stati poggiati cubi di cemento per evitare ulteriori smottamenti. La precaria e provvisoria soluzione è diventata, a quanto pare, più pericolosa oltre che definitiva e, comunque, l’inerzia è dolosa e irresponsabile. Tale condotta testimonia la assoluta ignoranza di chi governa il Comune, nonché della Chiesa locale e della Sovraintendenza ai monumenti.
È fondamentale, per amministrare una città, conoscerne la storia e i monumenti che la documentano, altrimenti non se ne è degni per incapacità, insensibilità e spregiudicatezza.
In proposito voglio narrare un evento di cui, sono sicuro, tutti i predetti richiamati alle loro responsabilità non ne sono a conoscenza. Nell’estate del 1973 alcune agenzie turistiche del Nord-Europa, pubblicizzarono questa notizia: “Visitate l'italia prima che gli Italiani la distruggano".
(Oggi, noi cittadini di Rossano abbiamo motivo e titolo per riappropriarci della pubblicità e dire: “Visitate Rossano prima che questi amministratori finiscano di distruggerla").
L’annuncio ebbe una grande risonanza internazionale tanto che il Governo italiano, per protesta, sollecitò la riunione del “Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa” che decise per il 1975 di proclamare l’anno europeo per il nostro patrimonio architettonico. Il tema d’impegno proposto dal Segretario generale europeo fu:
“Un avvenire per il nostro passato”
L’Italia promosse un’azione legislativa nazionale seguita da quella regionale (Presidente era Guarasci che legiferò per la salvaguardia dei più importanti centri storici calabresi mediante progetti finanziati).
L’iniziativa comportò una serie di incontri preliminari che, con il contributo di studiosi europei, si tennero a Reggio Calabria ove dal 30 aprile al 2 maggio 1976 si svolse l’ultimo dei quattro convegni previsti.
Il comitato comprendeva eminenti studiosi tra cui il prof. André Guillon della Sorbona di Parigi, il prof. André Jacob dell’Università di Lovanio in Belgio, il prof. Agostino Pertusi della Cattolica di Milano, Presidente era la prof. Fernanda De Maffei della Sapienza di Roma.
L’interesse degli studiosi si concentrò soprattutto su Rossano, sede dello Stratego di Bisanzio anche perché qui erano le principali e le più numerose testimonianze dell’epoca, in particolare San Marco, Patirion e Panaghia. Per la prima volta si seppe che la montagna dell’abbazia era chiamata “Montagna Sacra”.
Rossano era rappresentata dal suo più illustre studioso, Mons. Ciro Santoro, che tenne una appassionata e dotta prolusione, molto apprezzata e pubblicata negli atti del convegno.
Ne seguirono importanti lavori di consolidamento e restauro.
Dopo di allora piccole manutenzioni.
Ora nulla, solo incapacità, indolenza, insensibilità operativa: un disastro, una vergogna per la città.
Per chiudere questo argomento, giorni fa si è tenuto un convegno (10 agosto 2022) dal titolo “L’altrove, qui” ma il tema era sbagliato e forse doveva essere: “Quello che era qui, ora è altrove”.
La paralisi che da circa quattro anni ha colpito Rossano senza che ci sia la speranza che “schiariscano le tenebre e si possa accendere una luce”, mi ha fatto ricordare l’invito accorato di Cacciaguida a Dante per fare qualcosa, ritornando tra i vivi, al fine di scuotere Firenze dall’abbandono in cui versava:
“E lascia pur grattar dov'è la rogna" (Paradiso, XVII-V.129)
I cittadini ingenui ma anche i numerosi servitorami e i tanti piaggiatori e galoppini che durante le ultime elezioni amministrative fecero eco al candidato sindaco che già si presentava spiantato, senz’arte né parte, solo con una stagionata mini-laurea, sono rimasti delusi e sfiduciati perché da subito si sono resi conto che sarebbero andati incontro a un malgoverno di enormi proporzioni, mai sperimentato prima in maniera così grave.
Questi - absit iniuria verbis - con l’abilità del rigattiere e del piazzista, si era allenato e preparato con cura demagogica e opportunistica a cavalcare l’onda, sempre agitata, del malcontento politico presente specialmente tra i frustrati, i parassiti e i vagabondi, ai quali piace vivere di promesse e di facili prebende elargite dal potere.
Vinte le elezioni, alla prova dei fatti, la distanza tra le promesse e le aspettative si rivelò incolmabile per incapacità politica del ciarlatano addottorato che è bravo solo quale mezzo almanaccatore e mezzo mistagogo, senza scrupoli e senza rimorsi.
Il nostro è soggetto senza idee, senza un programma e senza una visione del futuro; non ha ethos né etica ed è privo di amore per la propria terra. A ciò si aggiunge una marcata propensione per la cura degli interessi particolari sia personali che dei suoi galoppini. La sua giunta e i suoi consiglieri, ovviamente, per incapacità politica sono al di sotto di lui.
Alcuni esempi, tra i tanti, ci danno un quadro della situazione:
Ciò potrebbe costituire reato di voto di scambio, oltre che grave danno economico per l’Ente che, per la congiuntura recessiva in atto, vede giorno dopo giorno lievitare i conti di manodopera e materiali.
Il rischio è duplice: aumento dei prezzi e seria probabilità di non potere realizzare le opere appaltate e finanziate.
L’opposizione consiliare (che è pressoché assente) e l’autorità anticorruzione dovrebbero vigilare, ma non è così, e segnalare gli illeciti alla Corte dei Conti e alla Procura della Repubblica.
Ritornando alla citazione di Dante circa l’invito rivoltogli da Cacciaguida, aggiungo i versi successivi:
“Che se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nutrimento”
“lascerà poi, quando sarà digesta”
“Questo tuo grido farà come vento”
“che le più alle cime più percuote”
(Dante – Paradiso XVII - VV. 130/134)
Tante sono le tribolazioni che noi rossanesi abbiamo sperimentato in questo ultimo lustro del secolo corrente:
In conclusione, dai pochi (ma gravi) esempi fatti si deduce che le “Piaghe d’Egitto”, di biblica memoria, gli editti napoleonici, le leggi eversive postunitarie e i molti orribili terremoti, che nei secoli passati hanno squassato dalle fondamenta Rossano, sono stati meno disastrosi di questa ultima attuale sventurata gestione della cosa pubblica. Né alcuna speranza o fiducia può essere riposta nella Giunta in carica perché le lacune del sindaco lo portano, per ovvi motivi, a circondarsi di persone con tacche di capacità qualitative e quantitative inferiori a quelle del capo, perché solo così può tenerli sotto controllo.
Non dobbiamo assolutamente dimenticare tutte queste tribolazioni che ci porteremo fino alla fine, visto che non possiamo sperare in una “comoda ritirata” (il “commodus discessus” dei latini) dal momento che il sindaco non sembra disposto, a quel che pare, a rinunciare a perseguire, finché gli è possibile, i propri interessi personali. Ma non dobbiamo neanche perderci d’animo e avvilirci.
Da qui l'esigenza di un Manifesto per una nuova Ellenizzazione
L’orgoglio delle nostre radici ci impongono un nuovo inizio, con coraggio, con entusiasmo, senza tiepidezza d’intenti, gelosi della nostra storia e delle nostre prerogative. Da oltre duemila anni, Rossano è stata sempre città leader nel territorio e in Calabria. Dopo la caduta di Sibari e di Thurio divenne municipio e avamposto militare romano. L’imperatore Adriano vi costruì un grande porto che poteva ospitare oltre trecento navi. Fu sempre centro di primo piano per la sua importanza culturale, artistica, religiosa e militare e il suo splendore e la sua potenza aumentarono per oltre sei secoli sotto l’impero di Bisanzio quando fu eletta a sede dello Stratego.
Il grande generale di Giustiniano, Belisario, nel 540 vi stabilì il suo quartiere generale per la lotta contro i Goti. Ospitò a lungo l’imperatrice Teofano, moglie di Ottone II, e la corte germanica, nel periodo della guerra contro i Saraceni che lo sconfissero e fecero prigioniero in una battaglia navale. Ottone II riuscì a fuggire buttandosi in mare dalla nave, raggiungendo a nuoto la spiaggia di Rossano (892).
Ruggero d’Altavilla la incendiò per rappresaglia perché aveva dato asilo al fratello Boemondo durante la lotta per la successione al trono dopo la morte di Roberto Guiscardo. Boemondo, primo genito, qui morì e poi fu sepolto a Canossa. Qui molti monaci basiliani, durante il loro esodo, trovarono rifugio nei monasteri portando con loro dall’oriente il Codex Purpureus, gemma preziosa dell’arte miniaturistica oltre che testo evangelico tra i più antichi.
Numerosi e famosi i suoi monasteri, chiese, castelli, palazzi e monumenti sia urbani che foranei, molti dei quali distrutti dai frequenti terremoti. Di essi v’è traccia in due documenti storici toponomastici: la pergamena dei principi Aldobrandini, nel museo di Frascati, opera dell’Abate Pacichelli del 1600 e la incisione in rame di Tommaso Piatti del 1700 che è nel comune di Rossano.
È Patria di Santi, Papi, letterati, giuristi, scienziati ed eroi:
È questa una sintesi del tutto incompleta ma che dà un’idea del grande ruolo culturale, artistico, religioso, scientifico e militare che la città di Rossano per oltre duemila anni ha avuto.
Bisogna riprendere il cammino oggi scelleratamente interrotto.
Bisogna far valere l’importanza della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre prerogative perché ci spetta il giusto ruolo e riconoscimento anche nel presente e nel futuro.
Bisogna che tale ricchezza abbia il suo peso anche nel nuovo comune, senza gelosie, senza invidie, senza paesanismi che sono nocivi per tutti e soprattutto per chi tenta di usarla contrapponendo minori valori che vanno comunque sommati alla maggiore ricchezza.
I sentimenti di invidia e gelosia in questa singolare circostanza politica e amministrativa che sta vivendo la nuova comunità cittadina non sono propizi in una fase che deve vederci uniti per un comune interesse al progresso e allo sviluppo.
I sentimenti di avversione o, peggio, di ostilità, rivalità e antagonismo (in breve, di campanilismo) non possono prevalere su oggettive e inconfutabili valutazioni che storia, cultura e arte documentano.
Il nostro passato non è una colpa ma lo offriamo alla aggiunta comunità, nostra sorella, per condividerlo insieme con orgoglio e rispetto.
L’invidia non può generare frustrazioni è uno dei sette vizi capitali, è madre di confusione in natura, nemica della concordia, rodimento dell’anima e del cuore di chi la nutre.
Genera sentimenti di avversione, nuoce alla storia e alle bellezze del passato e brucia le speranze del futuro.
Per questo nuovo cammino c’è bisogno del contributo dei cittadini più onesti e disinteressati che sono poi i migliori, quelli che nutrono un sincero e profondo amore per la propria città e le proprie radici.
Abbiamo il dovere di tramandare questo prezioso passato alle generazioni future perché attraverso la storia si diffonde la linfa necessaria per un domani migliore.
Viviamo in una terra di paradisiaca e incomparabile bellezza che ha ospitato le più antiche civiltà del mondo, quella ellenica e quella romana.
Una terra resa ancora più bella dalle opere dell’uomo: è’ nostro dovere non solo preservarla mai aggiungere bellezza alla bellezza, cultura alla cultura, arte all’arte, scienza alla scienza, civiltà alla civiltà.
Eliminiamo le incertezze, i dubbi e mettiamoci in marcia schierati come una falange e armati come gli opliti.
Centro Storico di Rossano, il giorno di S. Francesco d’Assisi.
Ecodellojonio.it è un giornale on-line calabrese con sede a Corigliano-Rossano (Cs) appartenente al Gruppo editoriale Jonico e diretto da Marco Lefosse. La testata trova la sua genesi nel 2014 e nasce come settimanale free press. Negli anni a seguire muta spirito e carattere. L’Eco diventa più dinamico, si attesta come web journal, rimanendo ad oggi il punto di riferimento per le notizie della Sibaritide-Pollino.
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